Avvocato per lavoro in nero: tutto ciò che devi sapere sul lavoro in nero e a chi rivolgerti

27 Marzo 2024 - Redazione

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Lavoro in nero: cosa rischia il lavoratore, il datore di lavoro e quando è il caso di rivolgersi ad un avvocato esperto

Il fenomeno del lavoro sommerso, o in nero che dir si voglia, è sicuramente una piaga storica dell’economia del nostro Paese. Purtroppo, in tutta la penisola, ci sono tantissimi lavoratori che, per svariate ragioni, non hanno la possibilità di lavorare in modo regolare con conseguente doppia evasione fiscale.

Se si lavora senza essere assunti, infatti, sia il lavoratore, ovvero il soggetto che mette a disposizione le proprie energie lavorative a fronte di un prezzo, sia il datore di lavoro, non pagheranno alcuna tassa, nessun contributo o qualsiasi altro onere che ruota attorno al rapporto di lavoro.

Il risultato di tutto ciò è aberrante, il non pagare le tasse è un fenomeno altamente pregiudizievole per la società, anzi, va contro al cosiddetto pactum societatis che è sotteso alla stessa. Ovvero, in parole povere, la volontà di vivere in una determinata comunità, e di contribuire, nei limiti della proporzionalità, alle spese necessarie per sostenerla. Il denaro “sporco” che deriva dal lavoro in nero non è tassato e, di conseguenza, non alimenta le casse dello stato bensì i patrimoni dei privati. Alla luce di tutto ciò, è fondamentale stigmatizzare questo fenomeno che, in fin dei conti, è pregiudizievole anche per gli stessi lavoratori i quali, nella maggior parte dei casi, sono alla mercé di datori di lavoro opportunisti.

Purtroppo, come accennato, il fenomeno del lavoro irregolare in Italia è tutt’altro che marginale, anzi, secondo gli ultimi indici, anche a causa della pandemia da Coronavirus, moltissime altre persone hanno perso il lavoro. Questo, inevitabilmente, causerà un aumento del lavoro irregolare. Attualmente, secondo i dati dell’ISTAT, il valore del lavoro in nero è pari a 79 miliardi di euro, una somma che è pari al 4,3% del Prodotto Interno Lordo. E, sempre secondo l’ISTAT, il numero di persone che lavorano in modo irregolare dovrebbe aggirarsi sui 3,7 milioni di cittadini. Sono numeri davvero spaventosi, specie se si considera che si tratta di lavoratori che non hanno nessuna tutela.

Che cosa si intende per lavoro in nero

Molto spesso si sente parlare di lavoro in nero, oppure, di lavoro sommerso, ma di cosa si tratta? In modo generico è possibile descrivere questo fenomeno come il rapporto di lavoro privo di un regolare contratto. Più precisamente, privo della cosiddetta comunicazione dell’instaurazione del rapporto presso il Centro per l’Impiego (obbligo espressamente previsto dalla legge). Il datore di lavoro, infatti, è tenuto ad inviare apposita comunicazione (Unilav) entro e non oltre le 24 ore del giorno immediatamente precedente all’inizio del rapporto di lavoro.

La legge, come di norma, fa salvi i casi di forza maggiore o di emergenza, in tal caso la mancata comunicazione nei termini imposti non è un problema. In tutti gli altri casi però, dalla mancata comunicazione deriva che le istituzioni preposte non hanno nessuna conoscenza dell’instaurazione del rapporto di lavoro, il che significa, in termini pratici, che il datore non pagherà le imposte, i contribuiti ecc. Di conseguenza agli occhi dello Stato, il soggetto, ancorché lavoratore (irregolare) sarà considerato come un disoccupato.

Quali sono le tipologie di lavoro in nero

Una volta inquadrato, almeno da un punto di vista generale, il fenomeno del lavoro in nero, è importante fare chiarezza sulle tipologie. Non tutti, infatti, decidono di lavorare in nero, magari lo fanno perché non hanno nessuna altra opzione, oppure, viceversa, c’è chi preferisce non essere assunto e lavorare in modo irregolare.

Sulla base di queste premesse, è possibile fare una distinzione tra:

- Lavoro in nero subìto: si tratta della forma di lavoro in nero più degradante in quanto il lavoratore subisce l’altrui volontà. Ovvero, il lavoratore viene costretto ad essere pagato senza essere assunto. Tale fenomeno accade molto spesso, ad esempio quando si ha bisogno di lavorare ma l’azienda non ha nessuna intenzione di regolarizzare il rapporto, magari perché non le conviene dal punto di vista degli oneri fiscali, previdenziali ecc;

- Lavoro in nero preteso: in questo caso, molto più limitato rispetto al primo, è lo stesso lavoratore che pretende di non essere assunto e di lavorare in nero. In genere questo fenomeno accade nel settore del lavoro autonomo, ad esempio perché si tratta di un lavoro saltuario. Oppure ancora, potrebbe essere il caso del cosiddetto “doppio lavoro” svolto da lavoratori dipendenti (sia privati che pubblici) fuori dall'orario di lavoro.

Entrambe le forme di lavoro in nero sono egualmente pregiudizievoli ed è fondamentale riuscire ad eliminarle. Si tratta certamente di una sfida ardua, specie in un contesto socio economico come quello attuale dove le imprese sono restie ad assumere nuovi lavoratori, specie con contratti a lungo termine o a tempo indeterminato.

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Come denunciare il lavoro in nero e cosa si può ottenere?

Uno strumento utilissimo per stanare forme di lavoro irregolare è la denuncia fatta dallo stesso lavoratore. In molti però, frenati da mille paure, decidono di non denunciare, ad esempio per paura di perdere il lavoro e di non trovarne un altro a causa delle black list che circolano trai datori di lavoro. Proprio per evitare tutto ciò, il legislatore ha previsto una sorta di meccanismo premiale, nel senso che garantisce una certa protezione nei confronti di chi decide di denunciare la propria situazione di lavoro in nero.

Tutto ciò che occorre fare è recarsi presso l’ispettorato di lavoro, oppure, presso la Guardia di Finanza i quali avvieranno immediatamente le indagini.

Per poter effettuare la denuncia non è necessario nemmeno recarsi fisicamente di persona in ufficio, almeno per quanto riguarda l’ispettorato di lavoro. Tutto ciò che occorre fare è inviare una PEC (posta elettronica certificata) oppure una raccomandata con avviso di notifica. L’aspetto fondamentale però è che il denunciante si identifichi, la cosiddetta denuncia anonima non ha nessuna valenza. Ovviamente l’identità del lavoratore denunciante non verrà in alcun modo rivelata da parte delle autorità procedenti.

Una volta presentata la denuncia, il lavoratore potrà ottenere innanzitutto, ove sussistano i presupposti, il riconoscimento del rapporto di lavoro e, di conseguenza, i contributi di previdenza nonché la differenza delle buste paga che avrebbe dovuto ricevere. La denuncia può essere altresì presentata anche dopo la fine del rapporto di lavoro e in tal caso il lavoratore può ottenere: il TFR non riconosciuto, la malattia non riconosciuta, retribuzioni non versate, ferie mancate, straordinari non riconosciuti e tanto altro ancora. Ovviamente è necessario provare l’esistenza o l’avvenuta esistenza del rapporto di lavoro, ad esempio mediante prove digitali (telecamere) oppure mediante testimonianze ecc.

Quali sono i rischi per il datore di lavoro

I datori di lavoro che assumono personale in modo irregolare si espongono a sanzioni tutt’altro che esigue. Il cosiddetto Decreto Semplificazioni (Decreto Legislativo n.151/2015), attuativo del Jobs Act, prevede in modo puntuale le diverse sanzioni applicabili. Dalla lettura del testo normativo citato appare chiaro che il legislatore ha deciso di attuare il pugno duro nei confronti di coloro che alimentano il fenomeno del lavoro irregolare. Le sanzioni, infatti, possono arrivare fino a 36 mila euro, ma procediamo con ordine.

Il quantum della sanzione concretamente irrogabile varia a seconda dei giorni di lavoro in nero posti in essere dal lavoratore:

- Da 1500 fino a 9000 euro per ciascun lavoratore irregolare entro 30 mese dall’impiego effettivo;

- Da 3000 fino a 18.000 euro per ogni lavoratore irregolare con impiego effettivo superiore a 30 giorni e fino a 60 giorni;

- Da 6000 fino a 36.000 euro per ogni lavoratore irregolare con impiego effettivo superiore a 60 giorni.

E non finisce qui, il legislatore, infatti, ha previsto anche una sorta di aggravante nel caso in cui il lavoratore assunto in modo irregolare sia un soggetto straniero privo di regolare permesso di soggiorno in Italia. In tal caso, la sanzione è ulteriormente inasprita del 20%. È previsto il medesimo aggravamento della sanzione pecuniaria nel caso in cui il lavoratore irregolare dovesse essere privo dell’età lavorativa minima.

Tuttavia, il legislatore ha voluto comunque tendere una mano ai datori di lavoro mediante la cosiddetta diffida obbligatoria. Grazie a quest’ultima, infatti, i datori possono letteralmente correre al riparo ed evitare le sanzioni sopra citate.

Ma in cosa consiste la diffida obbligatoria? Il datore di lavoro è tenuto a regolarizzare il rapporto di lavoro entro un periodo di massimo 120 giorni o con il contratto a tempo indeterminato, oppure, con contratto a tempo determinato, con validità non inferiore a mesi tre. Una volta fatto tutto ciò, il datore dovrà semplicemente dimostrare l’avvenuta assunzione del lavoratore (ovvero la regolarizzazione del rapporto), tuttavia, è bene precisare che il datore comunque sarà esposto ad una sanzione pecuniaria, seppur in misura ridotta.

Cosa rischia il lavoratore che lavora in nero

Per alcuni potrà sembrare strano ma anche il lavoratore irregolare, in alcuni casi, può andare incontro a conseguenze piuttosto gravi. Tuttavia, in via generale è sicuramente possibile affermare che quest’ultimo, considerato quasi sempre come anello debole, rischia molto di meno rispetto al datore di lavoro.

Ad ogni modo, se il lavoratore irregolare dovesse incassare la cosiddetta indennità di disoccupazione, consuma il reato di “falso ideologico” commesso da privato in atto pubblico, punito con pena detentiva di due anni (nel massimo). E non finisce qui, l’INPS potrà richiedere anche la restituzione di tutto quello che è stato indebitamente percepito dal lavoratore irregolare.

Inoltre, è bene precisare che se il lavoratore effettua due lavori, uno dei quali in nero, avrà anche problemi da un punto di vista strettamente fiscale. Egli, infatti, sarà considerato come un evasore fiscale a causa della mancata dichiarazione all’Agenzia delle Entrate i guadagni ottenuti dal lavoro in nero. La conseguenza, anche in questo caso, è piuttosto salata visto che si potrà ricevere un accertamento fiscale fino agli ultimi cinque anni dai quali potrebbero emergere ulteriori difformità con conseguente aggravio della responsabilità del soggetto.

Come si calcola il risarcimento per il lavoro in nero?

Una volta effettuata, da parte del lavoratore, la denuncia a carico del datore di lavoro nei modi e nelle forme sopra chiariti, a costui spetterà il cosiddetto risarcimento del danno derivante dal rapporto di lavoro irregolare. Ovviamente può sorgere spontaneamente la domanda: come è possibile calcolare il quantum del danno? Ebbene, è stata proprio la giurisprudenza a dare una risposta univoca a questo quesito. Secondo i giudici, infatti, il lavoro in nero (ovvero irregolare) ha il medesimo valore rispetto a quello svolto da un lavoratore regolarmente assunto. In parole povere, è questo il parametro da prendere in considerazione per effettuare il calcolo del quantum concreto.

Quindi, occorre prendere in considerazione innanzitutto la retribuzione mensile percepita dai lavoratori regolarmente assunti che svolgono il medesimo lavoro, il trattamento di fine rapporto, le ferie non godute, la tredicesima non percepita, eventuale quattordicesima non percepita (ove prevista dai contratti collettivi di lavoro nazionali), le ore di lavoro straordinario.

Tuttavia, occorre precisare che nel conteggio devono essere tenuti fuori alcuni aspetti come ad esempio gli scatti di anzianità, i permessi, le indennità ecc. Una volta sommato tutto ciò, prendendo in considerazione anche il numero dei giorni di lavoro in nero, si ha la possibilità di comprendere concretamente il quantum di risarcimento che ha diritto ad ottenere il lavoratore. In parole semplici, il lavoratore ha diritto ad ottenere, a titolo di risarcimento, tutto quello che non ha ottenuto durate il rapporto di lavoro in nero.

Per quanto concerne l’importo della retribuzione mensile da prendere in considerazione per il calcolo, occorre considerare il Contratto collettivo di riferimento e l’inquadramento che sarebbe dovuto spettare al lavoratore irregolare ove fosse stato assunto. Lo stesso vale anche per le altre voci da considerare ai fini del calcolo: ferie, permessi, tredicesima, quattordicesima ecc.

Quando conviene rivolgersi ad un avvocato per lavoro in nero?

Come più volte sottolineato, purtroppo il fenomeno del lavoro irregolare è una piaga molto avvertita in Italia. Per dare una svolta a questa situazione è sempre consigliabile rivolgersi ad un avvocato per lavoro in nero in tutti i casi in cui si ha un lavoro irregolare. Se hai bisogno di una consulenza con un avvocato esperto, Quotalo.it è la piattaforma giusta. Grazie ad essa puoi metterti in contatto con tantissimi professionisti che si occupano proprio di questo particolare fenomeno e che possono risolvere il tuo problema.

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